La sindrome del bambino scosso (Shaken Baby Syndrome) e il ruolo del/la pedagogista in un’ottica olistica e integrata

<< Il bambino non conosce le difficoltà della vita adulta, ignora i motivi di quei periodi di agitazione, di scoraggiamento, di fatica, che disturbano la nostra pace e ci rovinano l’umore; non ha idea alcuna delle sconfitte e dei fallimenti che accompagnano la maturità.
Ingenuo, senza creare difficoltà lascia che lo si addormenti, che lo si inganni; non dubita di nulla (…).
Rispetto per ogni minuto che passa, perché morirà e non tornerà più; un minuto ferito comincerà a sanguinare, un minuto assassinato tornerà e ossessionerà le vostre notti.
Lasciamo che il bambino si abbeveri fiducioso nell’allegria del mattino.
E un bambino rispettato oggi, sarà domani un adulto capace di rispetto. >>

In questo incipit, datato 1929, Janusz Korczak – pediatra, pedagogo, scrittore, poeta, libero pensatore, ebreo[1]– spiega, anticipando di circa sessant’anni la Convenzione sui diritti dell’infanzia, che è possibile riconoscere i diritti dei bambini soltanto quando si è capaci di capire loro, il loro mondo e i loro bisogni di crescita, quando si è capaci di vedere e di sentire come vedono e sentono loro, quando si riesce a considerare il loro mondo allo stesso livello d’importanza del nostro; in definitiva, quando li si rispetta.

Ed è attorno al fondamentale diritto dei bambini, quello al rispetto (per gli adulti un dovere basilare) che ruota l’argomento del presente contributo che ho voluto riportare nella sezione del mio sito relativa agli approfondimenti (nonché argomento trattato nella mia tesi di laurea magistrale); un argomento purtroppo non adeguatamente conosciuto e sul quale vorrei far luce.

Esso risulta essere noto con la denominazione di “Sindrome del bambino scosso” o Shaken Baby Syndrome” in letteratura straniera, un fenomeno in forte aumento nella nostra realtà la cui esistenza e realizzazione investe, in maniera dirompente, almeno sei realtà differenti: la famiglia, le strutture sanitarie, le agenzie educative, l’etica, la giurisprudenza, la società lato sensu che devono cooperare al fine di tutelare la vita dei bambini.

La tutela esistenziale, etica e giuridica del minore infatti rappresenta una sfera di interesse e una dimensione del reale, di collettiva appartenenza, verso la quale la produzione normativa internazionale e nazionale, la scienza in ogni sua forma e la pubblica opinione, deve maturare una sempre maggiore consapevolezza ed un senso di responsabilità e di presa in carico in forte e progressivo aumento.

La Sindrome del bambino scosso (o Shaken Baby Syndrome) è l’espressione medica coniata dall’American Academy of Pediatrics sulla scorta della più remota “Whiplash shaken baby/infant syndrome” (Sindrome da colpo di frusta del bambino/infante scosso, elaborata dal radiologo pediatrico J.Caffey nel 1972 in collaborazione con il dr. A.N. Guthkelch), con la quale la comunità scientifica designa, all’unanimità,  una forma di maltrattamento fisico di grado severo, consistente in un complesso di lesioni o segni  clinici, radiologici e strumentali di gravità variabile, determinati da un’azione di violento scuotimento, associato a rapida e ripetitiva flessione, estensione e rotazione del capo e del collo, di bambini e lattanti generalmente al di sotto del primo anno di vita; a perpetuare la condotta maltrattante, sono massimamente figure di “caregivers”, con un ordine di frequenza così distribuito: padri (56%), conviventi uomini (16%), madri (15%), le baby sitter (5%) e altre persone (9%).

Cosa accade? In seguito ad un evento scatenante, in genere determinato dal pianto prolungato e inconsolabile del bambino e l’incapacità di gestione dello stesso, il bambino, tenuto per le braccia, le spalle, le gambe e il torace viene scosso ad una frequenza approssimativamente di due o quattro volte al secondo, per una durata che va dai cinque ai venti secondi totali, causando gravi lesioni cerebrali favorite dalla fisiologia e del cranio del neonato in quanto il primo è molto morbido a causa del maggior volume di liquor (o liquido cerebrospinale) ed il secondo è più grande rispetto al resto del corpo a fronte di una scarsa tonicità dei muscoli del collo, per cui  anche una brevissima accelerazione lineare rapida, porta il cervello a colpire con forza la parte anteriore e posteriore del cranio; questo colpo, simile ad un colpo di frusta, causa la rottura delle vene intracraniche, (emorragie subdurali), emorragie a carico dei vasi che portano il sangue alla retina (emorragie retiniche) e danni cerebrali cui possono associarsi fratture craniche, vertebrali, costali e delle ossa lunghe. Dal 15 al 38% dei bambini sottoposti a SBS muore, (anche se fino ad oggi molti casi di SBS sono stati classificati come morti in culla o per strozzamento), coloro che sopravvivono presentano prognosi molto sfavorevoli, poiché in seguito alle lesioni gravi indicate intervengono danni permanenti come ritardi di sviluppo, ritardo mentale, paralisi cerebrali con disabilità motorie e intellettive, perdita dell’udito, cecità parziale o totale, difficoltà di linguaggio, difficoltà di apprendimento, difficoltà comportamentali, stato vegetativo, coma e morte. Per questo è fondamentale fare informazione!

Tra i fattori di rischio più importanti connessi al pianto inconsolabile e ingestibile del bambino vi sono elementi che possiamo dire essere connaturati anche alla malsanità della società in cui viviamo, come: il forte stress, l’instabilità individuale, lavorativa, sociale, le problematiche interne alla coppia, le coppie fragili, la solitudine e la depressione post-partum, tutti elementi che producono individui, ipotetici genitori, stressati, disorientati, con una bassa soglia di tolleranza alla frustrazione con poca capacità di controllo anche di più “blande” problematiche legate alla “cura e gestione dell’infante” come ad esempio  il pianto, il cui mancato governo è uno tra i più importanti fattori causali appunto.

Lo stress e l’ansia in famiglia infatti, sono una minaccia non solo per la coppia, ma anche e soprattutto per i figli. I figli, in maniera particolare, a tutte le età risentono dello stress dei genitori. Infatti, tutte le frustrazioni e i risentimenti che gli adulti hanno in corpo e che sfogano in casa, sono assorbiti in maniera straordinaria dai bambini, ad ogni età.

Giunti a tale consapevolezza, dei quesiti emergono d’obbligo: quale deve essere l’impegno che i soggetti deputati alla tutela del benessere della società devono assumersi?

La consulenza pedagogica in tale ottica, rientrando nelle prestazioni sociali, rappresenterebbe un primo importante passaggio da attivare in collaborazione con un altro professionista del benessere della famiglia, ossia il medico pediatra. Quando ossia il medesimo intuisce che la sintomatologia riscontrata nel bambino potrebbe essere connessa non a problematiche mediche, ma correlate a dinamiche familiari o ad aspetti educativi, dovrebbe attivare una collaborazione con il pedagogista e segnalare il caso.

È fondamentale che il lavoro di presa in carico della famiglia sia di natura integrata.

Sarebbe dunque il caso che il welfare, la cui prerogativa e responsabilità risiedono nella promozione della sicurezza e del benessere sociale ed economico dei cittadini nelle sue articolazioni istituzionali e territoriali, riflettesse sull’importanza di un approccio del genere, rendendolo un servizio fruibile ovunque e da tutti, nel nostro paese, in modo tale da rispondere tempestivamente alle esigenze educative manifestate dalla famiglia, con ripercussioni positive sul suo funzionamento.

Un dramma, quindi, quello che la SBS rappresenta che può essere alleviato se venisse attivata la giusta informazione innanzitutto – a partire dai corsi preparto, alle giornate di ricovero in ospedale post partum, ai vari professionisti che ruotano attorno alla perinatalità, pediatri in primis, alla giusta cura, basata appunto sulla  fitta rete di collaborazione tra le agenzie educative, mediche e legali (dato che purtroppo la sindrome in questione rientra come detto in una forma di maltrattamento fisico di grado severo e gli agenti  della condotta, spesso inconsapevolmente perpetuata  rischiano pene severe, fino alla sottrazione della potestà legislativa) e da pedagogista, non posso e non voglio assistere inerme a questi scenari.

Diceva il grande Martin Luther King “La nostra vita comincia a finire il giorno che diventiamo silenziosi sulle cose che contano” e ciò che conta in questo caso sono la sacra vita e salute dei bambini e il rapporto genitori-figli da salvare e tutelare sempre, perché oltremodo importante.

Quindi, parafrasando il premio Nobel per la pace, “dobbiamo necessariamente fare un gran rumore sulle cose che contano” perché è attraverso quel rumore che si può avere per lo meno la speranza, di prospettare un miglioramento della situazione altamente drammatica.

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[1] Il vero nome era Henryk Goldzmit; terminò la sua vita nel campo di sterminio nazista di Treblinka nel 1942 assieme a duecento bambini ospiti della “Casa dell’Orfano”, orfanotrofio di sua istituzione, che dirigeva da circa trent’anni a Varsavia; da qui il suo epiteto di “pediatra della shoah”.

 

Ps: vi lascio alcuni link di servizi da consultare sul canale YouTube:

 

Dott.ssa Fabiana Muni

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